Kris Durham: La sua storia italiana come il romanzo di Grisham!

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Ispirato dal romanzo di John Grisham, “Il Professionista”, Kris Durham è approdato ai Panthers Parma dopo la carriera in NFL. Questa è la sua storia, che ha voluto raccontarci in prima persona che ha voluto raccontarci in prima persona alla vigilia della sfida contro i Giants Bolzano, che vale l’accesso al  XXXVIII Italian Bowl.

Nel 2012, al mio arrivo a Detroit, ricevetti un regalo dal mio ex compagno di stanza al college e quarterback titolare della squadra, Matthew Stafford. Si trattava di un romanzo di John Grisham dal titolo ‘Playing for Pizza’ (Il Professionista, nella versione italiana). Il libro narra la storia del quarterback dei Cleveland Browns, Rick Dockery, e del suo viaggio dalle sideline NFL all’avventura di gioco con i Parma Panthers. Qualcosa che, oggi, posso raccontarvi anch’io molto bene.

Malgrado la diversità di ruolo e le dinamiche che mi hanno portato a lasciare la NFL, leggere il racconto del viaggio di Rick ha acceso in me un interesse del tutto inaspettato e mai avrei immaginato che, un giorno, sarei approdato esattamente dove lo aveva fatto il protagonista del romanzo di Grisham. Ci avevo persino scherzato su con Matthew e un altro dei nostri compagni di squadra, Shaun Chapas, dicendo che, una volta terminata la nostra carriera da professionisti, avremmo potuto tutti quanti trasferirci in Italia e continuare a giocare.  Ma nemmeno nelle mie più sfrenate fantasie avrei pensato che giocare a Parma sarebbe diventato realtà.

Procedendo velocemente, alcuni anni dopo aver letto “Il Professionista”, gli Oakland Raiders decisero di rescindere il mio contratto, e io che mi sarei ritirato dal football giocato se non avessi firmato un altro accordo entro la fine dell’anno. La stagione iniziò e si concluse senza che io ricevessi alcuna offerta e mi trovai, dunque, ad affrontare il momento della verità: voltare pagina o continuare a provare? Per scegliere la prima opzione dovevo obbligarmi ad allontanarmi dal football e un viaggio in Europa mi sembrava un’ottima soluzione. E così, all’inizio del 2016, decisi di partire per alcuni mesi.

E’ buffo come la vita e il destino seguano, a volte, percorsi tortuosi ma già scritti, perché per anni non avevo più pensato a Rick o ai Panthers Parma. Poi, però, mi sono trovato a viaggiare per tutte le meravigliose ‘trappole’ per turisti che l’Italia sa offrire e, improvvisamente, un giorno, accendendo il telefono, ho visto uno strano messaggio su Facebook. Era di Ugo Bonvicini (oggi Presidente dei Parma Panthers, NdT), che mi chiedeva se fossi interessato a giocare a football con la sua squadra. Ho pensato subito che fosse uno scherzo: non poteva essere vero! Ma la cosa mi ha incuriosito e così, spinto dalla voglia di capire cosa Bonvicini e l’head coach dei Panthers, Andrew Papoccia, avevano da raccontarmi sulla vita e sul football in Italia, ho risposto alla telefonata che, da lì a qualche giorno, ho ricevuto mentre ero a Firenze.  Onestamente, tutta questa storia mi intrigava, ma ero venuto in Europa per una ragione precisa, dimenticarmi del football, e così ho declinato l’invito, dicendo a coach Papoccia e a Ugo di provare, magari, l’anno successivo.

Una volta rientrato negli USA, non riuscivo a togliermi dalla testa la chiacchierata avuta con Papoccia. Ho cominciato a cercare informazioni più dettagliate sulla Prima Divisione italiana e sulla città di Parma. Ho seguito qualche partita in streaming per studiare la classifica dei Panthers, che erano in procinto di affrontare i playoff.

Quella stessa estate, ho visto molti dei miei amici tornare a prepararsi con i propri compagni di squadra per gli OTA (Organized Team Actrivity) e i mini camp di allenamento con le rispettive squadre NFL. E ho sentito la forte esigenza di tornare a giocare. Pur avendo ricevuto un’offerta da una squadra della Canadian Football League, però, non sono riuscito ad accettare, perché nella mia testa mi sentivo pronto a voltare pagina e a chiudere con il football.

Ancora una volta, tuttavia, il destino aveva in serbo qualcosa di diverso per me, perché qualche settimana dopo, ho ricevuto un altro messaggio da Ugo. Mi raccontava di come la stagione dei Panthers fosse finita anzitempo e di quanto fossero vicini ad iniziare la preparazione per un nuovo campionato. Da quel momento in avanti, Ugo e Andrew non mi hanno più mollato e alla fine, dopo quasi un anno da quel primo messaggio interlocutorio e quasi 4 anni e mezzo dopo aver letto ‘Il Professionista’, ho deciso di partire per Parma, pronto a vestire la maglia dei Panthers.

Non posso prometterti molto, se non una cosa: nella tua vita non mangerai mai più così bene come farai a Parma!”. – Andrew Papoccia

Non sono sicuro sia stata proprio questa promessa a farmi decidere, ma certamente l’idea di poter assaggiare il miglior cibo della mia vita non mi dispiaceva affatto! La cosa più bella di tutto ciò è stata che Andrew non stava affatto scherzando. Non ho davvero mai mangiato così bene come a Parma, in tutta la mia vita! Tuttavia, la parte migliore non è stata affatto il cibo.

In Italia, per me, tutto era nuovo. Ci sono cose delle quali mi sono innamorato all’istante, desiderando di portarle a casa con me, in America. Altre, invece…beh, non proprio. Ma faceva tutto parte della stessa esperienza.

Come Rick nel romanzo di Grisham, all’inizio mi sono sentito un po’ perso. Mi trovavo in una città straniera, dove si parlava una lingua a me sconosciuta e per la quale non ero preparato.  Per fortuna, la maggior parte dei miei nuovi compagni di squadra parlava inglese e tutti mi hanno aiutato ad ambientarmi, mostrando a me e a Tony Bell (l’altro import dei Panthers, NdT) quello che la Città aveva da offrirci. Non nascondo che, all’inizio, tutti questi cambiamenti e queste diversità possono spaventare: dalla lingua, alla semplice osservazione che tutto tende ad essere più piccolo. E intendo veramente piccolo. Le auto, le docce, le abitazioni, i letti, tutto! Per dirla in breve, gli americani credono davvero che più grande voglia dire essere più bello, oppure come usa dire Carol, la mia ragazza, un’”americanata”!

Per quanto, comunque, potessi sentirmi un po’ a disagio al mio arrivo in Italia, c’era un posto dove sapevo di essere casa: sul capo da gioco.

Giocare a football è qualcosa che ho fatto per tutta la vita, anche come professione, quindi avrei dovuto essere in grado di uscire e mostrare ai miei compagni quel che sapevo fare, o almeno così pensavo.  Ma poi…SBAM! E’ successo. Il mio peggior incubo si è materializzato. L’unica cosa che non volevo succedesse era infortunarmi giocando a football in Italia. E invece è proprio quello che è mi è capitato, al primo allenamento. Ugo si è immediatamente preso cura di me, organizzando le sedute di fisioterapia e le cure migliori che potessi mai immaginare. Ma il risultato è stato che ero comunque costretto in sideline.

Il dover stare forzatamente in panchina e guardare i miei compagni giocare mi ha però fatto apprezzare sempre di più la squadra e il suo modo di affrontare il gioco. Le lunghe trasferte in pullman dopo una grande vittoria, con i ragazzi che intonano cori e canzoncine su tutto e tutti: c’è sempre un motivo per festeggiare e questi ragazzi lo fanno tutti insieme. E anche quando sono rientrato dall’infortunio, la squadra mi è sembrata più unita che mai.

Purtroppo la nostra stagione è terminata prima di quanto avessimo sperato e, in principio, ho pensato che a questo punto la mia carriera da giocatore si fosse definitivamente conclusa. The End. Il destino, invece, ancora una volta aveva in serbo un modo per farmi tornare.

Al termine della stagione, in luglio, sono partito da Parma, per poi tornarci rapidamente a fine agosto per giocare a Flag Football con i miei compagni. Sono ripartito a settembre e tornato ancora una volta in ottobre, e quindi ancora in dicembre. Per poi fermarmi definitivamente a febbraio di quest’anno. C’erano un sacco di ragioni dietro a questi continui viaggi, ma ogni volta che torno a Parma ho la netta sensazione di non essermene mai andato. Come se questa fosse la mia seconda casa.

Giocare a football americano, tuttavia, non è mai stata per me la sola ragione per venire a Parma. E’ molto più di questo. Qui, in Italia, ho trovato un gruppo di amici che mi ha accolto come un membro della loro famiglia, ricordandomi perché ho iniziato a giocare a football, tanti anni fa. Ho trovato una seconda casa a Parma, e una lingua che, giorno dopo giorno, riesco a capire sempre meglio. E una famiglia di fratelli che si supportano l’un l’altro in ogni momento della loro vita.

Ad essere sincero, ho trovato tutto quello che non sapevo stessi cercando.

 

Traduzione: Ufficio Stampa FIDAF

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